Attacchi di Panico

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Cosa sono gli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono episodi d’ansia ad esordio improvviso, raggiungono la massima intensità in pochi istanti e si esauriscono nell’arco di alcuni minuti, meno frequentemente persistono più a lungo. (Figura n°1) In alcuni casi, al termine dell’attacco, possono residuare sensazioni di vuoto alla testa oppure di tensione muscolare, apprensione, vertigini, stanchezza etc.; tali sintomi, seppur raramente, possono protrarsi anche per alcuni giorni.

Come si manifestano

Le manifestazioni cliniche più comuni del Disturbo da Panico sono caratterizzate da:

• sintomi cardio-respiratori: palpitazioni, dolori precordiali, sensazioni di caldo o freddo, sensazioni di affogare, di nodo alla gola, di svenimento etc.
• sintomi vestibolari: vertigini, sensazione di sbandamento con insicurezza nel camminare etc.
• sintomi gastro-intestinali: scariche di diarrea, digestione lenta e prolungata, nausea, flatulenza, gonfiore addominale etc.
• sintomi urinari: frequenti stimoli ad urinare (pollacchiuria)
• sintomi neurologici: tremori, formicolii a localizzazione variabile, cefalea etc.

Tali sintomi fisici si associano generalmente a sensazioni d’impotenza, di estremo disagio o di terrore culminanti spesso nella paura di morire, d’impazzire o di perdere il controllo sulle proprie azioni.

Talora, ai sintomi precedentemente descritti, possono aggiungersi anche manifestazioni psico-sensoriali. Rientrano in tale gruppo i fenomeni di déjà-vu e déjà-vecu (“già visto”, “già vissuto”) oppure di depersonalizzazione-derealizzazione; questi ultimi si caratterizzano più spesso per la presenza di sensazioni spiacevoli di estraneità verso parti del proprio corpo o verso l’ambiente circostante (ad esempio, sensazione che i pensieri non siano propri oppure sensazione di percepirsi dall’esterno, come se si osservasse un film etc.); possono inoltre essere presenti modificazioni nella percezione degli oggetti (relativamente a loro qualità quali distanza, colore, consistenza etc.) oppure sensazioni fastidiose come di “camminare su qualcosa di morbido” o di “galleggiare” sul terreno etc.

Tutte le manifestazione sopra riportate possono di volta in volta combinarsi fra loro in maniera differente, come le tessere di un mosaico, con la conseguenza che il quadro clinico del Disturbo da Panico potrà essere alquanto multiforme, sia da paziente a paziente che nello stesso paziente, ma in episodi successivi.

La multiformità della presentazione clinica del Disturbo da Panico può condurre spesso a formulazioni diagnostiche non corrette, condizionate di volta in volta dalla differente formazione specialistica del medico consultato (ad esempio sbalzi pressori, ernia iatale, labirintite, tachicardia, extrasistolia, colon irritabile, etc.); la diretta conseguenza di tutto ciò è che il paziente finisce per intraprendere trattamenti aspecifici senza mai risolvere in maniera convincente e definitiva le proprie fobie.

L’ “esperienza” dei primi attacchi di panico

Il primo attacco di panico può manifestarsi improvvisamente, “a ciel sereno”, oppure in situazioni drammatiche o di forte stress (lutti, incidenti gravi etc.) o, ancora, a seguito dell’assunzione di sostanze stupefacenti (in particolare marijuana, amfetamine, cocaina) o di patologie endocrine (ipertiroidismo). In molti casi tuttavia, anche quando le condizioni “scatenanti” sono andate incontro a risoluzione, gli attacchi possono continuare a ripetersi, sganciandosi completamente dalla situazione che inizialmente li aveva promossi.

Generalmente il primo attacco rappresenta un punto di riferimento nella storia di malattia del paziente, rimanendo impresso nella sua memoria; frequentemente egli riferisce frasi del tipo “dopo quella crisi non sono più stato lo stesso” oppure “da quel momento la mia vita è cambiata” etc.

Molto spesso, dopo la comparsa delle prime crisi d’ansia, il paziente, temendo una patologia fisica acuta come un ictus cerebrale oppure un infarto cardiaco chiede, anche ripetutamente, le cure del pronto soccorso o della guardia medica tuttavia, in considerazione del fatto che gli accertamenti fisici e strumentali praticati risultano generalmente negativi, almeno momentaneamente, si rassicura.

Le forme cliniche di Disturbo da Panico

Non sempre, durante l’attacco di panico, le manifestazioni descritte si presentano nella loro completezza: tra i pazienti che si rivolgono al medico molti lamentano episodi caratterizzati dalla combinazione di pochi sintomi; tali attacchi, definiti “minori”, si distinguono da quelli “maggiori” nei quali coesistono più sintomi in associazione.

Gli attacchi, specialmente nelle fasi iniziali, possono insorgere inaspettati, a “ciel sereno”, senza una causa scatenante immediatamente evidente e per tale motivo sono definiti “spontanei” o “inattesi”; quando gli episodi compaiono in un contesto di aspettativa ansiosa, spesso in situazioni temute che provocano disagio, si parla invece di attacchi di panico “situazionali”.

È tuttavia da sottolineare che nella maggior parte dei pazienti con Disturbo da Panico l’eventuale esposizione a situazioni “ansiogene” può aumentare la probabilità di avere un attacco, ma non è necessariamente associata allo sviluppo del medesimo.

L’ansia anticipatoria, l’evitamento, l’agorafobia

Molto spesso gli attacchi di panico si accompagnano al timore che le crisi possano ripresentarsi ed il paziente inizia a convivere con uno stato di allerta persistente definito “ansia anticipatoria”.

L’ansia anticipatoria, l’intensificarsi della frequenza delle crisi, la tendenza ad associare gli attacchi con situazioni o luoghi specifici (posti chiusi oppure affollati, fare la fila, guidare l’automobile, andare in treno piuttosto che in nave o aereo etc.) rendono possibile la strutturazione di condotte di evitamento che, a loro volta, possono condizionare significativamente le normali abitudini di vita del soggetto e talora persistere anche quando gli attacchi si sono completamente bloccati.

I luoghi o le situazioni che i pazienti con attacchi di panico evitano sono i posti affollati (centri commerciali, concerti etc.), i luoghi chiusi (gallerie, cinema, grotte naturali, ascensore, metropolitana etc.), gli spazi aperti (ad esempio le grandi piazze), l’autostrada, il treno, l’aereo, ponti e viadotti, il viaggiare da soli anche per brevi tragitti, il rimanere completamente soli, anche nella propria abitazione etc.

Per quanto riguarda il termine agorafobia (dal greco “agorà”=”piazza del mercato”) esso viene attualmente utilizzato per descrivere quelle forme di Disturbo da Panico nelle quali le condotte di evitamento limitano fortemente le attività quotidiane ed il normale funzionamento sociale e lavorativo del soggetto affetto, al punto da indurne una modificazione radicale dello stile di vita. Nelle forme più severe di Disturbo da Panico, infatti, i pazienti diventano completamente incapaci di uscire o di muoversi da soli, potendosi allontanare soltanto in compagnia di una persona rassicurante nella quale ripongono particolare fiducia (compagno accompagnatore).

In qualche caso possono essere presenti fobie poco comuni, ad esempio alcuni mostrano una spiccata ansia anticipatoria ed attacchi di panico durante i pasti o nel corso di altre attività abituali (facendosi la doccia, durante i rapporti sessuali etc.). In genere l’insorgenza degli attacchi viene associata allo svolgimento di queste attività, stabilendosi così delle connessioni e dei rapporti causali. Ad esempio, se nel corso dei pasti l’atto della deglutizione si accompagna alla sensazione e al timore di soffocare, il soggetto potrà ridurre consistentemente il proprio apporto alimentare che si limiterà prevalentemente alla sola ingestione di liquidi con conseguente riduzione, anche significativa, del peso corporeo (pseudo-anoressia).

Attacchi di panico e fobia delle malattie

In circa il 20-30% dei casi, dopo i primi attacchi di panico, compaiono preoccupazioni ipocondriache, cioè il paziente inizia a temere l’eventualità di essere affetto da una malattia fisica; più spesso il timore è relativo ad una grave malattia cardiaca (infarto), neurologica (ictus, tumori etc.) o gastro-intestinale.

In considerazione di tale stato emotivo il soggetto affetto potrà chiedere più volte l’intervento di specialisti di vario genere oppure della guardia medica o del pronto soccorso; egli vuole sottoporsi continuamente ad accertamenti fisici e strumentali (elettrocardiogramma, elettroencefalogramma gastroscopia, colonscopia, esami vestibolari, TAC cranica etc.) che generalmente risultano negativi e, per tale ragione, seppur temporaneamente, si rassicura. In ogni caso sarà motivo di conforto il fatto di trovarsi nelle vicinanze di un ambulatorio medico o di un ospedale così da poter chiedere aiuto ed essere soccorso prontamente in caso di malore improvviso.

Il Disturbo da Panico negli anziani

Nella terza età il Disturbo da Panico assume spesso aspetti sintomatologici caratteristici. La storia riportata dai soggetti anziani di solito evidenzia un decorso di questo tipo: insorgenza degli attacchi di panico in età giovanile (tra 20 e 30 anni) con fasi successive caratterizzate da remissioni alternate a periodiche recrudescenze che tendono ad esaurirsi con la menopausa nella donna e dopo i 50 anni nell’uomo.

Tra i 50 ed i 70 anni persistono manifestazioni residue (spiccata tendenza a preoccuparsi anche per situazioni ordinarie della vita quotidiana, fobia del chiuso, del viaggiare da solo, paura delle malattie etc.); il quadro generale, tuttavia, è compatibile con un buon funzionamento familiare e sociale.

Dopo i 70 anni, spesso in coincidenza con stressors psicologici e/o fisici (ad esempio, vedovanza, malattie intercorrenti, deterioramento del sistema nervoso centrale etc.), si assiste ad una ripresa del disturbo, questa volta con manifestazioni cliniche differenti. Gli attacchi di panico perdono in parte le caratteristiche di criticità e le manifestazioni neurovegetative (tachicardia, sensazioni improvvise di caldo/freddo etc.), seppur presenti, sono meno intense, tendono a durare più a lungo (qualche ora e non più pochi minuti) ed a presentarsi in maniera subentrante.

Negli anziani il quadro clinico è più spesso dominato da fenomeni a prevalente localizzazione addominale e/o vestibolare; i pazienti lamentano infatti disturbi digestivi (nausea, digestione lenta e prolungata, flatulenza, stipsi etc.) e/o vestibolari (sbandamenti, vertigini, insicurezza sulle gambe con paura di cadere etc.).

L’attenzione è focalizzata quasi costantemente sui malesseri fisici che costituiscono il solo argomento di comunicazione con i familiari ed i medici. Il paziente pensa di essere affetto da una malattia fisica, non accetta le spiegazioni relative alla reale natura dei propri disturbi ed assume atteggiamenti manipolativi e rivendicativi verso i familiari dai quali pretende un’assistenza ed un’attenzione continue.

Ovviamente, per un corretto inquadramento diagnostico sarà indispensabile il colloquio con i familiari così da ottenere informazioni approfondite ed attendibili in merito alla storia non solo recente ma anche passata del soggetto in esame.

Come si cura il Disturbo da Panico

Nei casi in cui gli attacchi di panico si manifestano sporadicamente, in assenza di altre problematiche psicopatologiche o di compromissione del normale funzionamento familiare, sociale e lavorativo, sarà consigliabile un intervento di supporto psicologico aspecifico volto principalmente a spiegare al soggetto le caratteristiche del suo disturbo, rassicurandolo.

In caso di necessità potranno essere somministrati ansiolitici, purchè solo occasionalmente, non in maniera continuativa; bisognerà tuttavia aver cura di osservare il soggetto nel tempo valutando l’eventualità dello comparsa di un Disturbo da Panico clinicamente conclamato.

Le cure farmacologiche

Il trattamento farmacologico del Disturbo da Panico deve avere come finalità principale il blocco delle crisi d’ansia acute. Tale scopo è generalmente raggiunto mediante l’impiego di farmaci ad azione serotoninergica. Questi prodotti hanno una latenza d’azione di circa 2 settimane, sono generalmente ben tollerati, non producono assuefazione né fenomeni di dipendenza/astinenza, anche nell’eventuale impiego a lungo termine (terapia di mantenimento, generalmente della durata di 4-6 mesi). Per quanto riguarda l’utilizzazione degli ansiolitici (benzodiazepine) può essere consigliabile nelle fasi acute del disturbo con la raccomandazione, però, di ridurli gradualmente e sospenderli nel giro di 4-6 settimane a causa dei problemi di assuefazione e dipendenza/astinenza talora connessi con il loro uso continuativo.

Il supporto psicologico e la terapia cognitivo- comportamentale

L’approccio psicologico al Disturbo da Panico dovrà innanzitutto esser volto alla spiegazione delle caratteristiche della malattia rassicurando il paziente sul fatto che i sintomi dei quali soffre sono riconducibili ad un ben preciso disturbo di origine nervosa per il quale esistono terapie curative efficaci.

Tale aspetto è di primaria importanza in considerazione del fatto che il paziente è spesso disorientato dalle differenti diagnosi ricevute e dai numerosi fallimenti terapeutici subiti e questo poichè il Disturbo da Panico, per le sue multiformi modalità espressive, tende a confondersi con disturbi fisici di pertinenza cardiologica, otorinolaringoiatrica, gastroenterologica, urologica, neurologica etc..

In alcuni casi, il blocco “farmacologico” delle crisi di panico, non è seguito da una remissione completa della condotte di evitamento per cui il paziente, nonostante non abbia più crisi acute, continua ad evitare i posti chiusi piuttosto che quelli affollati oppure ha difficoltà nello spostarsi da solo etc. In questi casi, diversi studi controllati, hanno mostrato un effetto sinergico tra farmacoterapia e terapia cognitivo-comportamentale.

Le tecniche cognitivo-comportamentali si articolano essenzialmente nei seguenti tipi d’intervento:
• intervento psico-educazionale
• insegnamento di tecniche per il controllo dei sintomi fisici
• interventi di “riorganizzazione cognitiva”
• esposizione provocata alle “afferenze enterocettive”
• confronto “in vivo” o “in immaginazione” con le situazioni temute

Il punto centrale della terapia cognitivo-comportamentale del Disturbo da Panico è rappresentato dalle tecniche di esposizione che si fondano sul principio dell’estinzione.

L’esposizione alle “afferenze enterocettive” consiste nel praticare, sotto il controllo del terapeuta, una serie di esercizi con lo scopo di provocare alcuni fra i sintomi che solitamente vengono avvertiti nel corso dell’attacco di panico; alcuni Autori sostengono infatti che la familiarizzazione con i suddetti ridurrebbe la risposta ansiosa alla loro esperienza.

L’esposizione “in vivo” ed “in immaginazione” ha lo scopo di provocare un confronto con le situazioni che generano paura. La graduale esposizione ad esse, associata a meccanismi di rinforzo positivo sul comportamento, provocherà una graduale estinzione dei comportamenti evitanti.

Il successo dell’intervento cognitivo-comportamentale è tuttavia condizionato dalla reale “motivazione” del paziente ad affrontare le situazioni fobiche per cui il terapeuta dovrà ricercare una collaborazione il più possibile ampia e dovrà sostenere validamente il paziente nel corso dell’esposizione che, inevitabilmente, provocherà un incremento dei livelli di ansia anticipatoria.